Brooke è una bella ventenne ereditiera americana. Dopo la morte della nonna, ultima sua parente ancora in vita, parte alla volta dell'India per riscoprire se stessa.
Jagat è un ex principe indiano che si è ritrovato senza titoli e parte dei possedimenti per la caduta della nobiltà per la creazione di nuovo governo indiano indipendente, ma ancora tutte le responsabilità della gestione del popolo saldamente attaccato alle tradizioni della monarchia. E' un trentenne sposato con Moti, donna indiana di pari lignaggio, e ha 2 figli poco più che adolescenti.
Durante la guerra contro l'invasione cinese sul confine, il loro primogenito, arruolatosi volontario contro la volontà paterna, muore ucciso da un soldato cinese.
Jagat parte per indagare sulla morte e riportare a palazzo i resti e durante il viaggio conosce, in un albergo, Brooke. Tra i due scatta immediatamente qualcosa e qui parte un lunghissimo e ripetitivo pippozzo sull'amore vero, sul rincontrarsi in vite precedenti e sull'autodisciplina per non creare scandali. Discorsi del tutto inutili perchè lui la invita a palazzo e ci danno secco, tra dichiarazioni diabetiche, sotto lo sguardo consapevole, menefreghista, ma comunque anche giudicante della moglie di lui, che non ha mai amato Jagat, ma che comunque ha sempre fatto il suo bel dovere di moglie. Alla fine, con quattro o cinque frasi ben congegnate, il prete/precettore/filarino di Moti convince, senza troppi sforzi, Brooke a lasciare il paese e andarsene per non mettersi tra Jagat e sua moglie, ma soprattutto tra Jagat e il suo popolo e i suoi sogni.
Lei, nonostante fino alla pagina prima dichiarasse fortemente il suo indissolubile legame affettivo con lui, lo scarica con due righe su un foglio di carta e se ne va.
Lui, di tutta risposta, continua beatamente a farsi i sacrosanti cazzacci suoi senza mai più cercarla.
Nessun commento:
Posta un commento